mercoledì 26 maggio 2010

Ministero dell'Economia: "Nulla cambia per l'Università" sul turn-over ... No, come non detto.

E' giallo sull'eliminazione del documento sul sito del Ministero dell'Economia

In un incredibile ricorrersi di voci, che vanno dal blocco totale a quello parziale per l'Università, alimentate dall'assenza del testo approvato ieri in Consiglio dei Ministri (su cui verosimilmente si sta ancora lavorando), l'unico documento che poteva avere qualcosa di "ufficiale" avrebbe era quello presente sul sito del Ministero dell'Economia all'indirizzo
e ben evidenziato nella home-page.

In particolare segnaliamo questi passaggi del suddetto documento:

Trattamento economico pubblici dipendenti.
[...] "Per il personale non contrattualizzato (magistrati, militari e forze dell’ordine, diplomatici, prefetti, professori universitari) sono congelati per il triennio 2011-13 gli automatismi retributivi e le progressioni automatiche di carriera, con deroghe per l’università". [e qui si spera che si abbia in mente, per esempio, la situazione dei ricercatori non-confermati piuttosto che quella dei professori ordinari ...]

Turn over
L’attuale regime di turn over limitato del personale viene prorogato per due anni. Nulla cambia per l’università.

Nessuna deroga, purtroppo per gli enti di ricerca, almeno stando al documento ministeriale (segnaliamo, a tal proposito, questa lettera di protesta al Governo dei Presidenti degli enti di ricerca).
Sarebbe invece confermato, sia per università che per enti di ricerca (e per tutta la pubblica amministrazione) il taglio del 50% (rispetto a quanto speso nel 2009) su contratti a tempo determinato e co.co.co.

D'altronde la decisione, che auspichiamo, di escludere l'università dal blocco del tunr-over avrebbe una sua "logica", dato che molte università non riusciranno a soddisfare il requisito di manternere il rapporto AF/FFO al di sotto del 90% e quindi non potranno comunque procedere ad assunzioni. Questo a causa dei tagli sul Fondo di Finanziamento Ordinario e dell'aumento delle spese per il personale con l'aumentare dell'età media dei docenti in servizio (anche per questo sarebbe il caso di prendere in considerazione la proposta del PD di pernsionamento a 65 anni dei professori universitari).

Ma, circa un'ora dopo della pubblicazione su questo blog del documento del Ministero dell'Economia, alle 23.30 circa il MEF ha cancellato il file dal suo sito internet.
Se ne deve dedurre che tutto è di nuovo in discussione?
Ma in quale Paese con un minimo di serietà si approva in Consiglio dei Ministri una bozza in continuo cambiamento?
Per quale motivo inizialmente il Ministero dell'Economia aveva posto ben in evidenza sul suo sito il documento con le misure (per grandi linee, mica nel dettaglio!) contenute del decreto-legge, e poi dopo la pubblicazione della notizia su questo blog ha cancellato il documento?

Ad ogni modo, grazie alla prontezza degli utenti di questo blog, siamo riusciti a recuperare questi documenti, che si possono trovare ai seguenti link:

Saranno i giovani a pagare la crisi?

Si è tenuto ieri il Consiglio dei Ministri che ha dato il via libera "con riserva" della manovra correttiva.

Dalle bozze e dalle indiscrezioni che circolavano nei giorni scorsi sembrava profilarsi una stangata per l'università e la ricerca italiana, e in particolare per i precari a causa del paventato blocco del turn-over.

Stamattina un'agenza dell'ANSA sembra accendere qualche speranza, anche se il modo in cui è scritta lascia molti dubbi:

"- INSEGNATI SOSTENGO. Congelato l'organico. Non ci sarà il blocco del turn over per l'Università".

Non è chiara la correlazione tra "insegnanti di sostego" e "blocco del turn-over per l'università" (per gli insegnanti di sostegno?). Nè è chiaro cosa significhi la frase "non ci sarà blocco del turn over per l'università": turn over al 20%, al 50% o al 100%? Con le quote previste dal decreto-legge 180?

Probabilmente sarà necessario attendere il testo del Decreto-legge sulla Gazzetta Ufficiale per capire cosa accadrà.

Nel frattempo segnaliamo la petizione lanciata dal Coordinamento Giovani Accademici contro i tagli e in particolare contro il blocco del turn-over nell'università.

sabato 22 maggio 2010

Promozioni di massa e difesa della gerontocrazia. L’esito disastroso dei lavori della Commissione Cultura al Senato



Nei giorni scorsi, si è assistito alla mobilitazione dei ricercatori “strutturati” che protestano contro il DDL Gelmini, attualmente in discussione nella Commissione Cultura del Senato. La mobilitazione si è distinta per la strumentalizzazione del tema della “precarietà”, fingendo di preoccuparsi per le sorti dei ricercatori precari, ma in realtà impegnata esclusivamente a promuovere gli interessi di una categoria, peraltro già garantita. I ricercatori strutturati a parole giudicano “inemendabile” il DDL Gelmini, ma poi contrattano corsie preferenziali di avanzamento in ruolo sulla base del riconoscimento del “carico didattico” e indipendentemente dalla valutazione dei meriti scientifici di ognuno. 

Ma ciò che più preoccupa è il riscontro che tali rivendicazioni hanno ricevuto in Senato. La Commissione Cultura ha sostanzialmente accolto le richieste dei ricercatori, riservando loro la possibilità di essere promossi direttamente a professori associati, e a questi ultimi di essere promossi a professori ordinari, previo ottenimento di un’abilitazione nazionale per la quale – è bene sottolinearlo – né il DDL né altro orientamento governativo e della maggioranza parlamentare hanno finora previsto criteri di valutazione a garanzia di rigore e selezione secondo parametri internazionali. 

Al tempo stesso, la Commissione del Senato ha respinto un emendamento dell’opposizione che prevede il pensionamento di quei professori che all’età di 65 anni abbiano maturato 40 anni di anzianità contributiva. Tale misura consentirebbe di liberare importanti risorse da destinare in particolare al reclutamento di nuovi ricercatori. Va sottolineato che,  contrariamente ai senatori Livi Bacci e Rusconi che hanno votato a favore, le senatrici del PD Vittoria Franco, Maria Pia Garavaglia e Anna Maria Serafini hanno votato insieme agli esponenti della maggioranza in Commissione contro la proposta di emendamento presentata dal loro stesso gruppo parlamentare. Un vero e proprio suicidio politico, in contraddizione con l’orientamento espresso dal Partito Democratico, che negli stessi giorni aveva avanzato pubblicamente la proposta di pensionamento a 65 anni su iniziativa di Maria Chiara Carrozza, Responsabile del Forum Università Saperi e Ricerca del partito.

Le modifiche al DDL introdotte dalla Commissione Cultura del Senato delineano uno scenario preoccupante per il futuro dell’università, la quale rischia di chiudersi in se stessa in un momento in cui le sfide della globalizzazione e le turbolenze economiche in corso impongono invece un rinnovamento sostanziale, favorendo l’ingresso di nuove forze e un effettivo ringiovanimento degli organici. Al contrario,  gli orientamenti emersi dal lavoro della Commissione profilano un’indiscriminata promozione in ruolo ope legis per ricercatori strutturati e professori associati e di pari passo confermano l’anomalia dell’Italia rispetto agli altri paesi europei con professori in servizio fino ai 70 anni e oltre. 

Per altro verso, la Commissione non ha affrontato le criticità del DDL in materia di reclutamento e accesso alla carriera universitaria: non si è consolidata l’istituzione della tenure-track per i ricercatori a tempo determinato, che rimane vaga se non illusoria in quanto vincolata a esigenze di bilancio, anziché di merito scientifico come dovrebbe essere, e per di più si è eliminata la possibilità di reclutare ricercatori a tempo determinato mediante procedure innovative di selezione gestite dal Ministero, così come previsto nella versione originaria del DDL.

Nella sostanza, sembra di assistere al remake di una storia già vista, dagli esiti prevedibili quanto disastrosi. Anche l’approvazione della legge 382 del 1980, l’ultima legge-quadro di riorganizzazione del sistema universitario cui la legge che scaturirà dal DDL in discussione dovrebbe subentrare, fu portata a compimento demagogicamente in nome della “lotta alla precarietà”, snaturando l’originario progetto riformatore (che ridisegnava l’università italiana sul modello statunitense), salvo poi produrre intere generazioni di precari, compresa quella attuale, perché le assunzioni e le promozioni di massa ebbero l’effetto di bloccare per decenni il reclutamento, creando organici permanentemente squilibrati su alcune classi d’età (gli attuali over 60). 

I problemi di precarietà e carriere bloccate che affliggono l’università devono essere superati, non ricorrendo a provvedimenti corporativi di stabilizzazione e promozione di massa, ma introducendo un sistema aperto e competitivo di reclutamento e avanzamento in ruolo basato sulla valutazione del merito scientifico individuale, sulla responsabilizzazione delle università e sulla valutazione ex post dei risultati. Per questa ultima, si deve notare come pure emergano orientamenti poco promettenti a livello tanto ministeriale quanto politico e parlamentare: si dice che addirittura soltanto il 3% o al massimo il 7% del Fondo di Finanziamento Ordinario sarà allocato su base premiale ai dipartimenti (o, peggio, agli atenei) più produttivi scientificamente. 

L’esito disastroso dei lavori della Commissione e gli altri orientamenti che emergono dal dibattito politico-parlamentare rischiano di vanificare la speranza che l’Italia diventi un paese finalmente “normale” in un settore di rilevanza strategica nell’attuale società della conoscenza come l’università e la ricerca. L’Associazione Precari della Ricerca Italiani (APRI) si augura, pertanto, che nelle prossime fasi di discussione e approvazione il Parlamento sappia migliorare in senso realmente riformatore il DDL Gelmini, evitando di sprecare un’occasione irrepetibile per il rinnovamento e il rilancio del sistema universitario italiano.

giovedì 20 maggio 2010

Gelmini: a parole per il ricambio generazionale, nei fatti al fianco dei baroni

E' finalmente disponibile il resoconto sommario della seduta della Commissione Cultura del Senato in cui, tra le altre cose si è discusso, dell'emendamento del PD a favore del livellamento dell'età pensionabile dei docenti universitari alla prassi degli altri Paesi Europei, cioè 65 anni.
Riportiamo integralmente il resoconto, tratto dal sito del Senato, da cui si evince in particolare il parere contrario del Governo, rappresentato dal Sottosegretario Pizza.

Non più di qualche mese fa (30 Novembre 2009) a Udine il Ministro Gelmini ha dichiarato "le richieste di abbassamento dell'età pensionabile sono sacrosante". "Ci stiamo lavorando insieme al Ministro Brunetta".
Ma è bene ricordare anche alcune altre precdeenti dichiarazioni, altrettanto pompose: "dobbiamo cercare di svecchiare, favorendo il ricambio generazionale e l'ingresso di nuovi ricercatori, in modo che non siano costretti ad andare all'estero per poter lavorare" (4 Aprile 2009). "C'è bisogno di un ricambio generazionale" (24 Giugno 2009). "La riforma dell'università punterà sul ricambio generazionale, sull'apertura ai giovani" (29 Settembre 2009).

Ma quando si è trattato di passare dalle parole (puntualmente riportate dai giornali) ai fatti (puntualmente NON riportati sui giornali), il Ministro Gelmini evidentemente non si è ricordato dei suoi buoni propositi ed il Governo, come del resto i senatori di maggioranza in Commissione Cultura, si sono schiesati CONTRO l'abbassamento dell'età pensionabile e l'aperutra ai giovani.

Di seguito il resconto della seduta, in cui si evidenzia anche il voto non-favorevole delle Senatrici Maria Pia Garavaglia, Vittoria Franco e Anna Maria Seafini, in dissenso rispetto all'orientamento del loro stesso partito (PD).

Il relatore VALDITARA (PdL) esprime parere contrario sugli emendamenti 13.2 (testo 2), 13.4, 13.5 e 13.0.1 [...]. Il sottosegretario PIZZA esprime parere conforme a quello del relatore ad eccezione del 13.3, che invita a riforumulare [...].
Con riferimento al 13.2 (testo 2) interviene il senatore RUSCONI (PD) il quale osserva che esso si pone in linea con quanto dichiarato del ministro Gelmini. L'Italia ha infatti la classe docente più anziana d'Europa, per cui l'emendamento consente il collocamento a riposo dei professori al sessantacinquesimo anno d'età, ferma restando la possibilità di stipulare contratti con le università e di essere titolari di progetti di ricerca. Ciò al fine di permettere agli atenei la scelta sul personale da mantenere in servizio, dando un segnale positivo alle nuove generazioni, senza recare ulteriori oneri. Dichiara quindi il voto favorevole a titolo personale, ribadendo che si tratta di una opportunità in più consentita alle università.
La senatrice Vittoria FRANCO (PD) interviene in dissenso per dichiarare il voto contrario sull'emendamento. L'elevata anzianità della classe docente è infatti a suo giudizio dovuta al blocco del reclutamento ed ai limiti posti al turn over a fronte dei tagli. Ritiene pertanto nient'affatto scontato pensare che gli atenei, collocando a riposo i docenti a sessantacinque anni, assumano automaticamente giovani. Paventa perciò il rischio di uno svuotamento dell'università.
Il senatore LIVI BACCI (PD) tiene a precisare che, in virtù dell'emendamento, i docenti possono comunque essere assunti con contratto ed accedere ai fondi di ricerca, con autonomia più ampia essendosi liberati dagli oneri della didattica. Osserva altresì che il comma 6 impone che i punti organico e il corrispondente finanziamento liberato dal collocamento a riposo siano impiegati per il reclutamento, onde a favorire il ricambio. Dichiara quindi il proprio voto favorevole.
Il senatore ASCIUTTI (PdL) manifesta un certo disagio per il contenuto dell'emendamento, atteso che abbassare l'età pensionabile di persone qualificate potrebbe rappresentare un'offesa per la nostra cultura. Invita dunque a ritirare la proposta, onde non scadere nella facile demagogia.
Il relatore VALDITARA (PdL) sottolinea la distinzione tra i costi per l'università e quelli per lo Stato, rilevando che l'emendamento effettivamente alleggerisce il peso economico per gli atenei, spostandolo tuttavia sullo Stato. Rammenta altresì che in un contesto di generale innalzamento dell'età pensionabile può risultare improprio proporre addirittura un abbassamento, tanto più che le università si priverebbero di personale senza poterne assumerne dell'altro, data la scarsità di risorse. Ritiene peraltro che i docenti universitari stiano già compiendo molti sacrifici, tra cui ad esempio la triennalizzazione degli scatti e l'eliminazione degli automatismi stipendiali, per cui non sarebbe a suo avviso corretto privare le università di tale bagaglio di esperienza.
La senatrice Mariapia GARAVAGLIA (PD) interviene in dissenso, ricordando il contesto generale riguardante l'età pensionabile. In proposito giudica più corretto che i professori universitari possano andare in pensione a settant'anni come peraltro accade per i primari ospedalieri. Nel dichiarare quindi la propria astensione osserva che il dibattito sul collocamento a riposo è risalente. Puntualizza altresì che, qualora un docente andasse in pensione a sessantacinque anni ma mantenesse la titolarità di progetti di ricerca, graverebbe ugualmente sugli atenei.
La senatrice Anna Maria SERAFINI (PD) segnala lo scarto esistente tra il basso tasso demografico e l'elevato invecchiamento della popolazione, a cui si aggiunge una generalizzata svalorizzazione dell'età avanzata. Si dichiara quindi concorde sull'idea di ampliare le possibilità ai giovani purché ciò non significhi eccedere nel giovanilismo. Invita poi a considerare che l'età non è affatto un ostacolo nel rapporto docente e discente. Dissente conclusivamente dall'emendamento.
Posto ai voti, l'emendamento 13.2 (testo 2) non è approvato.

martedì 18 maggio 2010

Largo ai giovani, ci vuole uno shock generazionale

Segnaliamo l'ampio spazio dedicato dal quotidiano "La Stampa" all'emendamento del Partito Democratico di abbassare a 65 anni l'età di pensionamento dei docenti universitari, che riprende quasi integralmente una delle proposte dell'Apri e della VIA-Academy presentate alle forze politiche in occasione dell'avvio della discussione in Senato del DDL di riforma dell'università.

In particolare, condividiamo l'intervento di Maria Chiara Carrozza che scrive: "In una situazione di crisi non accetto che i sacrifici siano tutti e soli da parte dei giovani. Anche gli ultrasessantenni devono fare la loro parte".

Ora vedremo se alla prova dei fatti il Ministro Gelmini che, finora solo a parole, ha spesso parlato del problema del ricambio generazionle nelle università, sarà conseguente e farà porre al Governo "parere favorevole" all'emendamneto del PD. D'altra parte se questo non dovesse avvenire, il sistema universitario italiano andrebbe al collasso nel giro di pochi anni. Si stima che già negli anni a venire, a parità di FFO e senza ulteiori nuovi ingressi, la spesa in stipendi supererà l'intero ammontare dell'FFO. Una situazione insostenibile, dovuta al fatto che gli stipendi sono legati essenzialmente all'anzianità di servizio e stiamo oggi pagando il prezzo degli ingressi sconsiderati via ope-legis degli anni '80.

Quindi l'emendamento del PD, oltre che giusto, è addirittura necessario. Esso, però, sarebbe inutile se verrà posto, come certe, più o meno confuse, indiscrezioni di stampa farebbero capire, il blocco alle assunzioni nell'università. Allora sì che il prezzo della crisi sarà pagato esclusivamente dai giovani.

martedì 11 maggio 2010

DI FRONTE ALL'ABISSO: un invito di APRI al Governo


L'INCERTEZZA REGNA SOVRANA, SI PAVENTA UN BLOCCO DELLE ASSUNZIONI NELLA PUBBLICA AMMINSTRAZIONE CHE COLPIREBBE A MORTE LE SPERANZE DI UNA GENERAZIONE DI GIOVANI PRECARI.

NONOSTANTE LE ANSIE E' COMUNQUE DOVEROSO MANTENERE LA LUCIDITA', CONTINUARE A RAGIONARE E A PROPORRE SOLUZIONI.

DI SEGUITO PUBBLICHIAMO L'INVITO CHE APRI RIVOLGE AL GOVERNO.


l’APRI (Associazione dei Precari della Ricerca Italiani) chiede di voler superare, per l’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni, il modello del pubblico concorso. In molti Paesi occidentali, infatti, le Università reclutano i propri docenti in base a selezioni private, compiute dai Dipartimenti di competenza, tra coloro che hanno risposto ad annunci internazionali (applicants). Un comitato - formato ad hoc dal Dipartimento che ha offerto la posizione - esamina le domande degli applicants, compie rapidamente una prima selezione (short list), e quindi invita per un seminario e colloquio (interview) i candidati rientranti in tale lista ristretta. In genere, al candidato vincente viene offerta la posizione nel giro di poche ore o, al massimo, di un alcuni di giorni; se non accetta, la posizione viene offerta al candidato secondo classificato, e così via. In alcuni casi, però, può accadere che, secondo il comitato, non ci siano candidati adeguati alla posizione, e quindi l'annuncio venga ripetuto.

Questo modello funziona bene perché, in tali Paesi, è attivo un sistema di valutazione della produzione scientifica, e sono previste sanzioni, non solo per i docenti immeritevoli, ma anche per chi li ha selezionati, e per il Dipartimento di appartenenza. Dunque, diviene conveniente selezionare il candidato migliore. Risulta evidente, inoltre, che tale modello più avanzato, di chiamata diretta responsabile, sarebbe esportabile in qualsiasi ramo della pubblica amministrazione, in cui fosse attivo un sistema di valutazione del rendimento dei dipendenti. In Italia, tuttavia, per consentire il reclutamento mediante chiamata diretta responsabile nelle pubbliche amministrazioni, sarebbe necessaria una modifica dell’art.97, co.3, della Costituzione. In particolare, l’APRI propone la seguente bozza eventuale di comma terzo, dell’art.97 Cost.:

“Salvo i casi eccezionali stabiliti dalla legge per straordinarie e peculiari esigenze, agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, oppure tramite chiamata diretta da parte dell’amministrazione interessata, con la previsione, nei confronti dei soggetti chiamanti, di sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, per la selezione di soggetti chiamati che, secondo la valutazione di un’apposita agenzia terza ed indipendente, avranno dato prova di un rendimento inadeguato.”.

A tal proposito, è importante chiarire che la nuova forma di responsabilità che si propone sarebbe - secondo la previsione costituzionale - personale e colpevole, e non oggettiva e per fatto altrui, in quanto si baserebbe sul paradigma della culpa in eligendo, il cui utilizzo è riconosciuto anche nel diritto penale.

La questione fondamentale, però, è che una responsabilità del chiamante, per il rendimento del soggetto chiamato in base ad una scelta errata, deve sussistere realmente, altrimenti la chiamata diretta (a questo punto irresponsabile) diventerebbe solo una fonte di abusi, se è possibile, ancora peggiori di quelli che, in questi anni, si sono perpetrati tramite il sistema concorsuale. È proprio per questo motivo che il rendimento del pubblico dipendente, soprattutto in un sistema di chiamata diretta responsabile, deve essere valutato da una agenzia terza ed indipendente.

Quindi, una legge ordinaria che consentisse, nel nostro Paese, la chiamata diretta responsabile, ad es., dei docenti universitari, – che poi è quello che a noi direttamente interessa - dovrebbe essere possibile solo dopo la realizzazione della piena operatività dell’ANVUR (Agenzia Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca): realizzazione che, con la presente, l’APRI Le chiede di voler finalmente attuare, senza dare ascolto a quella tesi secondo la quale la valutazione dei docenti dovrebbe essere di competenza dei rispettivi Atenei, introducendo così una perfetta coincidenza, tra controllori e controllati, sulla quale non pare minimamente necessario spendere parole di commento. D’altronde, la valutazione della produzione scientifica è l’elemento cardine, e sarebbe addirittura preferibile un sistema caratterizzato ancora dal modello concorsuale, ma dotato di una agenzia di valutazione pienamente efficiente, che non uno più avanzato di chiamata diretta (responsabile?), in cui, però, la valutazione risultasse concretamente ineffettiva.

Ultima cosa ma non meno importante, chiediamo di voler finanziare il reclutamento di almeno 2.000 ricercatori, con le nuove regole (da prorogare) del c.d. decreto Gelmini. Su tali nuove regole, infatti – che purtroppo, per una serie di ritardi, non sono state ancora messe alla prova dei fatti -, sono basate le speranze di tanti ricercatori precari scientificamente meritevoli. Anche le migliori regole di reclutamento, tuttavia, non servono a nulla in un sistema privo di finanziamenti, e le risorse messe a disposizione, a tal fine, dall’allora Ministro Mussi, per vari motivi, si sono ridotte ad una “manciata” di posti. Dunque, l’APRI chiede al Governo – che fin ora nulla ha fatto al proposito – di voler finanziare le sue stesse nuove regole meritocratiche, così evitando di destinare al macero, in modo cinico e spietato, un’intera generazione di precari, spesso eccellenti nelle materie di rispettiva competenza.

Del resto, sia il finanziamento di nuovi posti da ricercatore, che la proroga delle regole introdotte con il c.d. decreto Gelmini, risultano, in ogni caso, assolutamente necessari; ma, a fortiori, dovrebbero essere ritenuti tali, qualora - come noi fortemente auspichiamo - si decidesse di percorrere, soprattutto per quanto riguarda il reclutamento dei docenti universitari, la strada delle opportune modifiche costituzionali, invece di affidare il futuro dell’Università italiana al sistema di reclutamento dei docenti delineato dal d.d.l. di riforma, in questi giorni sottoposto al vaglio del Senato: d.d.l. che in tale parte, inevitabilmente, nasce già vecchio, in quanto, essendo limitato dall’attuale dettato costituzionale, non può che riproporre il superato modello del pubblico concorso.

domenica 2 maggio 2010

L'editoriale di Bogart. La Grecia è vicina.

In una piovosa domenica di maggio si fanno molte riflessioni. La prima riguarda i nostri cugini greci. Che c'azzecca la Grecia, direte voi? C'entra, e molto. Adesso deve fronteggiare una crisi economica terribile. Stamani il Premier greco, Papandreu (figlio), ha annunciato un piano di lacrime e sangue: taglio alla spesa pubblica di 30 miliardi di €, niente più tredicesime e quattordicesime sopra un reddito (piuttosto basso), in 4 anni riduzione del deficit di 11 punti %, più facili i licenziamenti nel settore privato. Saranno anni di lacrime e sangue.
La Grecia è un paese che ci assomiglia parecchio sotto tanti aspetti, in primo luogo culturali. Siamo entrambi paesi del Mediterraneo con una tendenza statalista e di welfare dispendioso e poco efficiente. In 6 anni (2004-2009) la Grecia ha accumulato 120 miliardi di deficit, essenzialmente di spesa pubblica. Il debito è al 140% del PIL. Ricorda qualcosa? Anche l'Italia ha un mostruoso debito ed una spesa pubblica che continua a crescere. Anche in Italia gli sprechi si moltiplicano ogni giorno, gli enti inutili da eliminare vengono allegramente confermati (ma le Provincie non andavano abolite?), i governi si avvicendano parlando di riforme e razionalizzazioni, ma non cambia mai niente; o meglio: aumentano i rivoli di spesa, con stratagemmi degln di miglior gloria. Quando arrivano i tagli, sono lineari e colpiscono tutti indifferenziatamente senza alcuna valutazione di merito o di successo.
In questo allegro contesto sguazza anche l'Accademia Italiana. Insieme agli Enti Locali, l'Università italiana si caratterizza come una delle voci di spesa pubblica più controverse. La missione dell'educazione universitaria è appunto universale: ed ecco subito comparire quasi 100 atenei e svariate sedi distaccate. L'accesso agli studi deve essere sempre garantito: ed ecco comparire fenomeni sconosciuti in altri paesi come studenti fuori corso per lustri a fronte di tasse universitarie ridicole e un sistema di diritto allo studio indecente. Come alcuni economisti hanno dimostrato, il sistema universitario italiano raggiunge il notevole scopo di pagare gli studi ai ricchi con i soldi dei poveri. E d'altronde molti nostri studenti sono alla ricerca del mitico pezzo di carta, che ha valore legale nel burocratico sistema di reclutamento statale; a questo si possono sommare ulteriori pezzi di carta, generati dalle scuole di specializzazione, gli esami di abilitazione alle professioni e via dicendo.
Vogliamo dei numeri, impietosi come sanno essere i numeri? Eccoli, dal rapporto CNSVU 2009.
1998: 49956 docenti (PO+PA+ric), di cui 13103 PO; 2009: 62709 docenti (+25%), di cui 18861 PO (+44%). Con i tecnici amministrativi siamo a circa 110000 unità di personale strutturato nell'Università. E gli stipendi corrono: nel 1998 si spendevano 4,320 miliardi di €, nel 2007 se ne spendevano 6,574 miliardi con un costo per strutturato/anno passato da 43000 € a 58600 € (+36%). Se andiamo a vedere i soli professori ordinari e fissiamo a 100 il loro costo nel 1997, nel 2007 si ha un costo di 183. Con un semplice calcolo si vede che le spese per assegni fissi erano nel 1997 l'82% del totale FFO erogato alle Università statali; nel 2007 siamo all'89%. Molte università si salvano dalla nefasta "quota 90" con lo scorporo dei docenti di medicina, che vengono contati nella spesa secondo una percentuale inferiore al loro costo totale. Ma il dato di fondo rimane: a che servono per la maggior parte i finanziamenti alle Università? A pagare il personale strutturato delle Università.
Ma magari, direte voi, è una buona idea trasformare l'Università italiana in un superliceo con foglio di carta del Magnifico Rettore come premio finale. Si? Vediamo qualche altro numero.
2007: su 1809192 iscritti, solo il 58.6% sono iscritti regolari (ovvero da un numero di anni non superiore agli anni di corso). Ma questo è un dato aggregato. Nel 2007/08 l'8% degli iscritti (che, ripeto, pagano tasse ridicole rispetto ad altri paesi) ha più di 35 anni, nel 2001 erano il 5,4%. Un altro 6.9% rientra (2007/08) nella categoria 30-35 anni.
E gli Atenei? Sono pronte le contromisure, non temete. 5835 corsi attivi nel 2008 (il 53% utile a conseguire la laurea di I livello e il 41% quella specialistica), mentre nel 2001 erano 3234 (+80%). Excellent. Vi sono ben 214 comuni italiani in cui si possono seguire corsi di laurea di 1° livello, 125 di laurea specialistica e 86 di laurea a ciclo unico. La figura allegata mostra dove si può studiare in Italia: dovunque. Comuni e enti locali ringraziano per l'indotto.

Ma questo "dovunque" non è sempre la stessa cosa. Secondo una tabella del CNSVU, le università dell'Emilia Romagna sono, complessivamente, 7 volte più attrattive di quelle della Puglia. Nel 2007/2008 alla Luiss il 59,3% degli immatricolati aveva ricevuto un voto compreso tra 90 e 100 alla maturità, al Politecnico di Bari si scende al 39,4%, a Macerata al 25,5%, a Teramo al 17,5%, e nell'Università dell'Insubria il 14,3%; tutte queste università hanno avuto un numero simile di immatricolati. Come dire: se devo pagare tanto (Luiss) occorre che sia davvero motivato agli studi; se supero un esame di ammissione (Politecnici), devo essere molto motivato. Per tutto il resto non c'è Mastercard, e ci si può iscrivere vicino casa, anche in Insubria.
Attenzione. Lungi da me pensare che l'accesso agli studi vada regolato per censo. No: occorre un sistema di incentivi/disincentivi (economici) che permetta a chi è bravo di frequentare l'università a costo zero e a chi stenta di pagare gli studi a chi è davvero motivato. Sfortunatamente, se quello che dico (e dicono in molti, peraltro) viene proposto da un qualsiasi ministro, direi che questo politico ha poche chances di finire la legislatura in carica.
Potrei andare avanti. Snocciolare ancora cifre che confermino quello che tutti hanno già sotto gli occhi: la liceizzazione dell'Università, il suo essere diventato sistema di Welfare per professori (specie ordinari, pensionabili dopo 70 anni con elevati stipendi maturati), e bivacco per molti studenti, la distorsione tra nord e sud e tra ricchi e poveri. Numeri come questi sono la comoda giustificazione di chi, a partire dal Governo attuale, vede nell'Università solo un sistema parassitario da smembrare a colpi di scure colpendo qua e là senza reale valutazione; un metodo che ha come unico effetto quello di esasperare le tensioni e fornire un comodo alibi a coloro che sguazzano allegramente nel distorto welfare universitario: "datece li sordi, ahò!"
E quindi, in una piovosa domenica di maggio, fa molta impressione vedere i ricercatori strutturati scendere i piazza per chiedere recinti protetti per la loro promozione di carriera in risposta ad un disegno di legge che per la prima volta -anche se in maniera non molto convincente- sposta l'attenzione sui giovani e sul merito. Dove era questa gente negli anni in cui si è avallato il malcostume del reclutamento coatto scaricato sui costi dello stato? A fare la consueta "fila" per la propria promozione certificata da concorsi taroccati?
E fa anche impressione sentire tanti precari chiedere a gran voce più soldi perchè più insegnamenti sono necessari, in nome della missione universale dell'Università italiana. Certo, più insegnamenti e più professori sono proprio quello che ci vuole, in effetti rimangono circa 8000 comuni ancora scoperti che saranno felici di accogliere ulteriori sedi distaccate e studenti fuori corso. E che dire infine della resistenza dei professori ad anticipare il proprio pensionamento per governare il transiente ed aiutare il reclutamento di giovani, si spera altrettanto bravi e motivati?
In un Paese in cui lo Stato è visto dalla maggior parte dei cittadini come una vacca da mungere sempre e comunque, in nome di interessi fondamentali, non stupisce che l'Università sia quella che è. Nell'attesa, forse non lunga, che anche il nostro Papandreu si presenti in televisione e ci mostri il salato conto da pagare.

sabato 1 maggio 2010

Scambio?



Il 29 aprile si e' svolta a Milano un'assemblea di ricercatori (precari e strutturati), che ha approvato la seguente mozione http://frondaprecaria.files.wordpress.com/2010/04/mozione-assemblea-milano-29-aprile-2010.pdf .
Alcune cose condivisibili, altre meno, ma in fondo e' sempre cosi' quando si fa una sintesi, no?
Infine, un punto che quelli che scrivono e commentano qua sopra criticheranno fortemente:

"la cancellazione delle previste misure di riduzione della presenza dei ricercatori e 

dei prof. associati nelle commissioni di concorso[...]"


Eh no! Intanto perche' ricercatori e prof associati adesso NON partecipano (salvo rare eccezioni, e menomale che son rare) alle commissioni di concorso. Poi perche' le commissioni "omogenee" per grado, solo ordinari,  sono al momento l'unica arma per limitare (un po') la ricattabilita' di commissari che vorrebbero far vincere i piu' capaci invece che i predestinati. E anche perche' questa richiesta da parte dei ricercatori di "tornare a contare" nelle commissioni di concorso sembra mirare a  partecipare al mercato delle vacche dove in cambio di una strizzata d'occhio si riceve, a tempo e modo, una ricompensa.