lunedì 1 dicembre 2014

Il (non)-sistema del reclutamento universitario in Italia – I concorsi farsa all’Università di Pisa

L’Associazione dei Precari della Ricerca Italiani (APRI) da tempo si occupa di monitorare le pratiche del reclutamento universitario in Italia.

Il problema del reclutamento è diffuso praticamente in tutti gli atenei e di fatto si può dire che non esiste alcun ‘vero reclutamento’. Sicuramente la motivazione va ricercata anche nei tagli al Fondo di Finanziamento Ordinario degli Atenei Italiani operati dai vari governi negli ultimi anni. Il blocco del turn-over è il simbolo più evidente di come si è risparmiato sulla ricerca pubblica, e le poche risorse sono usate per progressioni di carriera. A pagarne le spese, inevitabilmente, sono i più deboli, i precari della ricerca, i quali, dopo anni di precariato e il riconoscimento del valore scientifico a seguito dell’abilitazione scientifica nazionale, hanno possibilità prossime allo zero di poter vincere meritatamente un concorso negli atenei italiani.

Per effetto della riforma Gelmini agli atenei è stata data ampia libertà nella definizione dei meccanismi di reclutamento nelle posizioni di docenza dei soggetti già promossi a livello nazionale tramite l'Abilitazione Scientifica. Il risultato di tale norma è una grande varietà di regolamenti, diversi da ateneo a ateneo, in cui purtroppo non mancano quelli che sembrano sfidare il buon senso e le migliori pratiche internazionali. Il tutto al fine di facilitare la vittoria del candidato interno.

Di recente noi di APRI abbiamo segnalato l’assurdo caso dell’Università del Salento (vedi qui) dove, in una selezione per 16 posti da Professore ex Art. 18 comma 1 240/2010, la docenza svolta in Italia era valutata fino ad un massimo di 20 punti mentre la docenza e la ricerca all'estero contava solo per un massimo di 4 punti. Questo caso emblematico ha subito trovato ampia risonanza sulle testate nazionali grazie all’articolo di Flavia Amabile (La Stampa) poi ripreso da Gian Antonio Stella (Corriere) e, a seguire, da molte altre testate nazionali e locali. Sul caso Salentino e sugli sviluppi di quella vicenda torneremo in un post successivo, analizzando anche i risultati finali di quei 16 concorsi da Professore Associato.

Oggi vogliamo portare l’attenzione sul fatto che il caso Salentino non è neppure il peggiore esempio di reclutamento nel desolante panorama accademico nazionale. Vogliamo portare l'attenzione ora sul regolamento per il reclutamento dell’Università di Pisa, che presenta dei tratti a dir poco bizzarri. Non parliamo quindi di una periferica sede del tanto bistrattato Sud, ma di uno di quegli Atenei ritenuti tra i più prestigiosi e con alle spalle secoli di storia e tradizione.

Questa la procedura delineata dagli Artt. 6 e 8 del regolamento concorsuale dell'ateneo di Pisa, relativo alle procedure ex Art. 18 comma 1 240/2010:

Art. 6 - Modalità di svolgimento delle procedure
1. Le commissioni, con deliberazione assunta a maggioranza dei componenti, individuano i candidati idonei a svolgere le funzioni didattico scientifiche per le quali è stato bandito il posto, all’esito di una valutazione delle pubblicazioni scientifiche, del curriculum e dell’attività didattica dei candidati.
2. La valutazione avviene sulla base dei criteri predeterminati dalla commissione; tali criteri dovranno essere stabiliti nel rispetto degli standard e degli ulteriori elementi previsti dal dipartimento ai sensi dell’art. 2 comma 4.
Art. 8 - Chiamata del candidato selezionato
1. All’esito della procedura di cui agli articoli precedenti, il consiglio di dipartimento propone entro due mesi dall’approvazione degli atti al consiglio di amministrazione la chiamata del candidato prescelto fra gli idonei. La delibera di proposta è adottata a maggioranza assoluta dei professori di prima fascia per la chiamata di professori di prima fascia, e dei professori di prima e seconda fascia per la chiamata dei professori di seconda fascia.
2. Nel caso in cui nel termine sopra indicato il dipartimento non adotti alcuna delibera, non potrà richiedere nei due anni successivi alla approvazione degli atti la copertura di un ruolo per la medesima fascia e per il medesimo settore scientifico disciplinare, se previsto, per i quali si è svolta la procedura.

Dal recente bando per la copertura di n. 46 posti di professore universitario di II fascia pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 60 del 1/8/2014 si evince che:

La domanda di partecipazione risulta inutilmente dispendiosa e complicata. Le domande devono essere inoltrate, inspiegabilmente, sia in formato cartaceo (cioè pacchi postali costosi, pieni di carte e pubblicazioni che chiunque potrebbe facilmente scaricare da internet in qualunque Università), sia in digitale, cioè inviandone una scansione in formato pdf. Ciò va fatto pena l’esclusione dalla procedura.

Non è previsto nessun colloquio/lezione/seminario. A Pisa selezionano i futuri professori universitari  senza neanche vederli in faccia! La cosa è talmente grottesca che normalmente provocherebbe una rivolta fra coloro che reclutano. In realtà il problema non si pone, infatti il consiglio di Dipartimento nomina il “prescelto” (sic!) dalla rosa di idonei identificata dalla commissione di concorso; prevediamo che - casualmente - in quella rosa ci sarà sempre un candidato interno già ben noto ai componenti del medesimo dipartimento. Dunque non si prevede di vedere in faccia i candidati perché si conosce già benissimo chi sia il "predestinato" di turno.

•  L'attribuzione delle responsabilità per la selezione non è chiara. La commissione (due membri interni e uno esterno, tutti Professori Ordinari) non stila una graduatoria e non nomina un vincitore. Si limita a certificare se i candidati siano idonei attribuendo loro dei giudizi. Tuttavia va ricordato che in Italia già esiste una procedura di Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN) che abilita al ruolo di Docente Universitario, e al grado di Associato o Ordinario. La Commissione pertanto non può affermare che qualcuno non è idoneo, visto che per presentare domanda al concorso bisogna avere l'abilitazione, oppure essere già professori in un altro Ateneo. Tutti quindi ricevono dalla Commissione il giudizio di idoneità, accompagnato da 3-4 righe di giudizio. Dunque a che serve il lavoro della Commissione? Di fatto a nulla, visto che tutti i candidati risultano necessariamente idonei. Formalmente, serve a dare la parvenza di una selezione concorsuale di tipo comparativo, che in realtà non ha luogo. Un’autentica farsa!

Il Consiglio di Dipartimento avrà infine il compito di nominare un vincitore da questa lista degli idonei. Lista che, come abbiamo spiegato, corrisponde in tutto e per tutto all'elenco di coloro che hanno presentato domanda. Il Dipartimento quindi dovrebbe basare la propria scelta sui giudizi stilati collegialmente dalla Commissione per ciascun candidato. Nella realtà tali giudizi non risultano però vincolanti per la scelta del vincitore, del resto i candidati sono tutti idonei in quanto tutti abilitati... Mai fu vista procedura concorsuale più opaca!

Queste sono le assurde regole del reclutamento all’Università di Pisa. Ma se escludiamo la grottesca ipotesi che il Dipartimento scelga i futuri Professori senza averli mai visti in faccia ed averne studiato i CV, unicamente in base a tre righe di giudizio scritte da una Commissione che neppure ha mai incontrato i candidati, in base a cosa può scegliere il Consiglio di Dipartimento? Non è difficile dare una risposta a questa domanda. Trattandosi di maxi-Dipartimenti che aggregano numerosi settori scientifico-disciplinari, il Dipartimento sceglierà chi costa di meno, cioè promuoverà i candidati interni già assunti a tempo indeterminato per risparmiare punti organico e poter poi promuovere altri interni.  In un consiglio di Dipartimento che si riunisce per decidere chi reclutare, cosa importa ai filosofi di chi ottiene una cattedra di storia, e ai geografi di chi entra a filologia romanza? O ai petrografi di chi viene assunto a sismologia? La maggior parte dei membri del consiglio di Dipartimento non possiederebbe neppure le competenze per discernere fra i candidati o per valutarne la produzione. Non è difficile prevedere che il vincitore risulterà un membro del Dipartimento, così da risparmiare fondi da utilizzare in un prossimo concorso dall’esito banalmente scontato.

Dopo aver steso un velo pietoso sul caso pisano, che dovrebbe far riflettere qualcuno al MIUR, a conclusione vogliamo analizzare le conseguenze di una politica di reclutamento inesistente. In un panorama internazionale che vede le Università del mondo in competizione per accaparrarsi i migliori talenti, in Italia si decide di continuare con un sistema rigido che non rende possibile il ricambio e fa si che si ottenga il Dottorato di Ricerca, il posto da Ricercatore ed il posto da Professore spesso nello stesso ateneo dove ci si è laureati (il cosidetto “Academic Inbreeding”): tutta la formazione e la carriera – dalla culla alla tomba – nella stessa sede.  Non vi è movimento di personale accademico, non si recluta personale da fuori, non circolano le persone e dunque circolano poco anche le idee. Pisa, come tanti altri atenei italiani, non sente il bisogno di reclutare nessuno al proprio esterno, di cercare nel vasto mondo gli studiosi più competenti. Un bisogno che invece curiosamente hanno le istituzioni internazionali più prestigiose come Oxford, Cambridge, MIT, Harvard, Yale ecc. Tutte queste istituzioni reclutano al loro esterno, con bandi competitivi;  incentivano la partecipazione del maggior numero possibile di candidati, pagano il viaggio e l'alloggio a coloro che invitano per le prove orali (che Pisa non prevede nemmeno) e capita così che reclutino studiosi da tutto il mondo, anche italiani che qui non avrebbero possibilità. Sono forse tali prestigiose istituzioni a corto di giovani talentuosi a loro interno? Un problema che miracolosamente pare non sfiorare l’Università di Pisa e gli altri atenei italiani, talmente autosufficienti che tutti i loro concorsi si limitano ad essere promozioni mascherate. 

Evidentemente, a dispetto di tutti i dati che indicano come l’accademia italiana sia tra le più vecchie del mondo occidentale e come il numero di docenti sia crollato negli ultimi anni – per effetto dei tagli al turnover -  la volontà di promuovere gli interni prevale sul bisogno di forze fresche e sulla ricerca e la selezione delle competenze.

martedì 28 ottobre 2014

#LaSvoltaSbagliata - Più precariato per tutti! Questa la ricetta della Legge di Stabilità per l'Università



La Legge di Stabilità approvata dal Consiglio dei Ministri contiene poche norme relative al mondo universitario, tuttavia si tratta di articoli di legge che sarebbero deleteri per tutto il sistema se approvati dal Parlamento.

Vogliamo qui trattare in particolar modo la questione che tocca più da vicino le sorti dei precari e il reclutamento.


Per comprendere la situazione attuale e le modifiche introdotte dalla Legge di Stabilità è necessario e opportuno fare un passo indietro, ricordando che nel testo della legge 240/2010 - nota come Riforma Gelmini - era previsto che il 40% delle risorse degli atenei per il turnover fossero destinate obbligatoriamente a posti di ricercatore a tempo determinato sia di tipo A che di tipo B (d'ora in avanti, per brevità, TDA e TDB), ovvero alle due nuove figure precarie istituite in sostituzione della vecchia figure del Ricercatore a Tempo Indeterminato (RTI). 


I TDA sono dei contratti di durata triennale, rinnovabili una volta per altri due anni, e possono definirsi una strada senza sbocchi: non portano a nulla, sono contratti precari (anche se con diritti e tutele maggiori degli assegni di ricerca). I TDB invece sono la vera novità contenuta nella riforma, si tratta di contratti di 3 anni, non rinnovabili; al termine del triennio il ricercatore che abbia conseguito l'Abilitazione Scientifica Nazionale e sia valutato positivamente a livello locale passa di ruolo a Professore Associato. Questa è la vera figura di ingresso prevista dalla riforma.


Il Ministro Profumo modificò la norma sopra menzionata, togliendo il vincolo del 40% e introducendo invece l'obbligo di fare un TDB - quindi reclutamento vero - per ogni nuovo Professore Ordinario (PO). Fino ad oggi, per una complesse serie di ragioni legate al costo di tale operazione, di TDB ne sono stati fatti pochissimi. E del resto, visto che l'abilitazione ha richiesto lungo tempo per giungere a termine, non si potevano neanche fare nuovi Professori Ordinari.

Adesso che invece stanno ripartendo i concorsi, ora che il grosso delle risorse stanno venendo investite per le promozioni degli RTI a professore Associato, da più parti si è iniziato a storcere il naso verso il vincolo introdotto da Profumo. Fare un TDB per ogni PO significa costringere gli atenei a reclutare personale nuovo, la cosa non è piaciuta alla CRUI che più volte ha chiesto di abolire quella norma. Dal punto di vista dei Rettori la priorità pare sia fare promozioni, per soddisfare le richieste della propria base elettorale, dunque l'obbligo di fare un po' (non tanto) reclutamento vero gli pare solo un impedimento.

Ora il MIUR, retto da un ex-Rettore, ha risposto ai desiderata dei propri ex-colleghi. Infatti i commi contenuti nella legge di stabilità stabiliscono che il vincolo di un TDB per ogni PO viene sostituito con il vincolo di fare un TD (A o B) per ogni PO. Facile prevedere che gli atenei, per il differenziale di costo tra TDA e TDB (il primo costa 0,5 mentre il secondo 0,7 punti organico), faranno dunque solo TDA. Dunque creeranno figure precarie senza prospettive, affossando l'unica figura che dà garanzie d'ingresso stabile nel sistema. 


Questa è, a tutti gli effetti, la fine della tenure track all'italiana e rappresenta il fallimento dell'elemento più innovativo e qualificante tutto il sistema del reclutamento disegnato dalla riforma Gelmini. Una riforma che è nata male e che ora, ad appena 4 anni dalla nascita, può ben dichiararsi definitivamente morta e da archiviare al più presto.

L'esito delle decisioni prese dal Governo è facilmente prevedibile: avremo più promozioni di associati ad ordinari e più precariato. 

Chiediamo con la massima determinazione che tale norma sia eliminata e che si provveda invece al più presto a realizzare un piano di reclutamento straordinario nazionale di TDB, secondo modalità aperte, trasparenti e meritocratiche già indicate in un nostro precedente appello.


Il sistema ha bisogno di forze nuove, ma sicuramente non di nuovo precariato. A meno che l'intento non sia di spazzare via un'intera generazione di ricercatori.




mercoledì 1 ottobre 2014

La nostra denuncia ripresa dal quotidiano "La Stampa"

La nostra denuncia, dalle pagine di questo blog, sui gravi fatti dei bandi da Professore Associato all'Universita' del Salento, vedi qui, e' stata oggi ripresa su La Stampa in un articolo a firma di Flavia Amabile (foto). Nell'articolo e' possibile leggere anche un risposta, pervenuta alla giornalista, da parte della cariche accademiche di Uni Salento.

  Inutile dire che le giustificazioni, tardive ed un po' confuse, non ci convincono. Non si tratta infatti di alcun "malinteso" come il Prof. Metafune ci sembra proporre. Quanto abbiamo riportato nella nostra denuncia e' quanto, nero su bianco, appare scritto sul bando concorsuale, consultabile da chiunque (purtroppo anche dai potenziali candidati). 
  Ma che un bando sia poco appetibile/attraente, e' una cosa che stranamente sembra auspicabile nell'Accademia Italiana, contrariamente alla piu' comune prassi internazionale ed a qualunque logica.  Sara' forse perché le selezioni, lungi dall'essere "reali", e quindi da pubblicizzare, hanno sempre un vincitore designato?

venerdì 15 agosto 2014

I pazzi criteri numerici dell'Università del Salento


Fai "didattica in Italia"? Ti daremo 20 punti. Sei un esperto di caratura internazionale, fai didattica all'estero in centri qualificati, vieni regolarmente invitato a relazionare a conferenze internazionali e partecipi attivamente a progetti di valore internazionale? Ti daremo punti 4.


No non e' uno scherzo, accade veramente nei concorsi per professore associato banditi dall'Università del Salento (si veda ad esempio i requisiti richesti per il posto in fisica sperimentale delle interazioni fondamentali, Settore Concorsuale02/A1) e che prevedono una graduatoria con punteggi numerici. Sì, ma che punteggi!

A leggere il bando, consultabile qui, si apprende che la Commissione, nello stilare la graduatoria, tra le altre cose assegnerà i seguenti punteggi massimi, copio ed incollo dal bando per il settore 02/A1 (il concorso N.13 del bando):

"Attività di docenza svolta in Italia"   Max. PUNTI 20

"Attività di docenza ed attività di ricerca all'estero, valutate eventualmente anche in rapporto alla percentuale di prodotti con coautori internazionali, all'attribuzione di incarichi o di fellowship ufficiali presso atenei e centri di ricerca esteri di alta qualificazione, alla partecipazione a convegni internazionali in qualità di relatore invitato o di componente del Comitato scientifico, ai periodi trascorsi all'estero nell'ambito di documentabili rapporti strutturati di ricerca e/o didattica"  Max. PUNTI 4


Avete capito bene! Non siamo su scherzi a parte! E' tutto vero, sono i criteri di valutazione dei curricula di un ateneo Italiano tra i più qualificati al Sud, al fine di selezionare e reclutare il proprio corpo docente.
Notate che per l'"attività di docenza svolta in Italia" non si specifica granché, non si chiede chissà quale eccellenza. Insomma basta già lavorare come ricercatore presso un qualsivoglia ateneo italiano, e quindi svolgere regolarmente compiti didattici, per portare a casa ben 20 punti.
Per la didattica e la ricerca internazionale invece si chiede un popò di roba, che sia in centri "di alta qualificazione", che si relazioni a conferenze internazionali "su invito" e magari si faccia parte del Comitato Scientifico internazionale delle medesime, di pubblicare con altri esperti internazionali coi quali bisogna avere documentati rapporti strutturati etc... e si portano a casa 4 punti (se va bene!).

Tale "svista" nei punteggi numerici massimi applicabili e' per altro presente non solo per il posto del settore concorsuale 02-A1 ma in molti altri dei 16 posti da Professore Associato messi a bando dall'Università del Salento anche se il divario e' inferiore a 20-4.  
Ogni commento sulla bontà di tale procedura comparativa di selezione concorsuale pare superfluo. Un ricercatore che insegnasse e facesse ricerca alla University of California Los Angeles piuttosto che a Yale od Oxford, essendo tra i luminari del proprio campo e perciò invitato a Conferenze internazionali, fosse membro di comitati scientifici internazionali, avesse all'attivo documentate collaborazioni in tutto il mondo non avrebbe alcuna speranza di vincere contro chiunque stia già facendo regolarmente della didattica in Italia (indipendentemente dal merito).

Come APRI - Associazione Precari della Ricerca Italiani - da tempo spingiamo verso l'uso delle griglie numeriche nelle selezioni comparative e vediamo quindi con favore il regolamento dell'Università del Salento che prevede griglie numeriche per i concorsi da Associato e prevede che i valori di tali griglie siano noti sin da bando e non, come spesso accade, fissati a posteriori dalle commissioni quando sono già noti i curricula dei partecipanti. Quello che non possiamo pero' accettare e' un uso fazioso e sconsiderato dei valori delle griglie numeriche, utilizzati non per selezionare e premiare ma sostanzialmente per rendere più chiuse ed impermeabili le procedure, col solo intento di favorire i ricercatori già in ruolo.

La redazione APRI - Associazione Precari della Ricerca Italiani